Che il fattore di rischio per malattie croniche non trasmissibili sia strettamente correlato alla dieta è risaputo. Ciò a cui non si dà invece sufficiente enfasi, sono il numero dei morti da malattie croniche non trasmissibili correlati alla cattiva alimentazione, che cominciano a essere seri, e la necessità d’intervento è ormai diventata impellente.
Ogni anno sono undici milioni le persone che muoiono per diete ricche di eccessi e vuote di nutrienti. La sintesi delle evidenze epidemiologiche, compreso gli studi osservazionali prospettici a lungo e a breve termine, ha fornito prove che sostengono le potenziali relazioni causali tra fattori dietetici e malattie croniche non trasmissibili.
I dati sono stati pubblicati su Lancet nel 2019 ma, Prevenzione a Tavola, ha voluto rimettere in evidenza questo studio per ricordare a distanza di 2 anni, alcuni punti essenziali, che, forse, non si sono compresi nel loro più profondo significato.
Lo studio ha cercato di valutare il consumo alimentare tra diverse nazioni e popolazioni, ma che non ha potuto avere possibilità di omogeneità per il divario culturale e geografico, pertanto non è stato possibile valutare una dieta ottimale per tutti. Negli ultimi dieci anni sono stati però compiuti sforzi importanti per qualificare il carico di malattia attribuibile a specifici fattori dietetici nonostante le numerose variabili, riuscendo a stimare l’effetto di ogni singolo fattore dietetico sulla mortalità per malattie croniche non trasmissibili e quantificarne l’impatto complessivo.
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Il metodo di studio lo lasciamo agli addetti ai lavori, ma il risultato è sicuramente da mostrare. I maggiori divari tra l’assunzione effettiva e quella ottimale sono stati osservati negli alimenti esposti nella tabella, e, parallelamente a un’importante ridotta quantità del consumo di cibo sano, emerge, di contro, un’assunzione giornaliera di tutti quegli alimenti considerati dannosi, i quali hanno notevolmente superato il livello di soglia di protezione:
Abbiamo visto che l’impatto complessivo sulla mortalità è molto alto, e degli undici milioni di morti ogni anno, si registrano al primo posto malattie cardiovascolari, seguite da tumori, e diabete di tipo due. Più della metà dei decessi è attribuibile all’elevata assunzione di sodio, seguita dal basso consumo di cereali integrali, e al basso consumo di frutta.
Una ridotta assunzione di cereali integrali è il principale fattore di rischio attribuito alla dieta, nonché il principale rischio di morte tra i giovani adulti di età compresa tra i 25 e i 50 anni, mentre il sodio è al primo posto tra gli anziani (>70 anni).
Ormai è molto chiaro, migliorare la dieta riduce il rischio di morte di un quinto su un piano globale. E’ inoltre emerso che una dieta scorretta è responsabile di più decessi rispetto a qualsiasi altro fattore rischio, incluso il fumo di tabacco, evidenziando l’urgente necessità di intervenire sul miglioramento della dieta umana nel mondo.
Sebbene il sodio, lo zucchero e i grassi siano stati l’obiettivo principale del dibattito sulle politiche dietetiche negli ultimi due decenni, la valutazione di questo studio dimostra quanto sia importante inserire nella nostra dieta i cereali integrali, e quanto questo riduca il rischio sia di ammalarci che di mortalità.
Il prof Giuseppe Grosso, medico epidemiologo e professore di nutrizione umana presso l’Università degli studi di Catania ha dichiarato: “Quando infatti andiamo a pesare il numero di morti attribuibili all’elevato consumo di carni rosse e lavorate rispetto a quello del ridotto consumo di cereali integrali, i secondi pesano molto più dei primi”.
Il che non significa che il rischio correlato al consumo di carni rosse e conservate vada rivisto, ma lo stesso rilievo e impegno andrebbero indirizzati in temi di governance dedicati all’educazione alimentare e a promuovere la salute enfatizzando soprattutto ciò che non mangiamo come appunto i cereali integrali.
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Dobbiamo tenere presente anche che uno dei grossi problemi legati alla cattiva alimentazione, è per lo più correlato ai paesi/regioni di basso reddito, che non possono permettersi di accedere a un cibo di qualità. Questo divario va sicuramente colmato da politiche che hanno il dovere di mettere in condizioni le popolazioni indigenti, ad accedere a un cibo adeguato per il mantenimento della loro salute. Purtroppo c’è ancora molto lavoro su vari livelli che riguardano l’alimentazione, ma di tempo ne è rimasto poco.
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