I grani antichi sono quei cereali che sono stati coltivati per molto tempo in Italia e nell’aerea mediterranea fino a che sono stati sostituiti da varietà, cosiddette “moderne”, caratterizzate da resa produttiva, facilità di raccolta e resistenza ai patogeni decisamente superiore.
I grani antichi sono recentemente tornati sul mercato, soprattutto come coltivazioni in regime biologico, trovando il consenso di una buona fetta di mercato per varie ragioni:
I grani antichi sono infatti grani che nel corso del tempo si sono adattati a sopravvivere in areali difficili e in condizioni avverse, come possono essere le zone montuose, siccitose o con temperature molto rigide.
È per questo motivo che i grani antichi ben si adattano alla coltivazione in regime biologico, dove i prodotti fitosanitari e fertilizzanti, che possono essere utilizzati, sono limitati e spesso meno efficaci rispetto a quelli permessi in agricoltura convenzionale.
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Tutto ciò si ripercuote sulla sostenibilità di queste coltivazioni, che richiedono pochi input chimici, soprattutto in termini di antiparassitari.
Coltivare i grani antichi significa salvaguardare queste specie vegetali ed impedire che si estinguano, in altre parole si tutela la biodiversità. Anche grazie alla tutela dell’ambiente e alla loro sostenibilità, queste coltivazioni aumentano la biodiversità dell’intero ecosistema, promuovendo la salute del pianeta.
Una scelta, probabilmente commerciale, è quella di destinare una buona percentuale di questi grani alla produzione di farine integrali, che sono ricchi di fibre, minerali e antiossidanti. Oggi è possibile trovare sul mercato tante farine ottenute da grani antichi, sia di grano duro, come il Senatore Cappelli pugliese o il Timilia siciliano, utilizzati per la produzione di pasta e pane di semola, che di grano tenero, come il Solina, utilizzato invece per la produzione di lievitati e crespelle.
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