A togliere preziosi anni di vita e salute non sono solo i noti fattori di rischio e comportamenti scorretti contro cui spesso si scagliano istituzioni e sistemi sanitari (il fumo, associato a una perdita media di 4,8 anni a persona, il diabete a 3,9 e la sedentarietà a 2,4 anni); infatti, ci sono anche 2,1 anni in media a persona (1,5 per le donne e 2,6 per gli uomini) persi a causa di condizioni sociali svantaggiate come un basso profilo professionale, un reddito inadeguato e uno scarso livello di istruzione. Secondo un maxi studio mondiale pubblicato su Lancet, si tratta di dati importanti perché per la prima volta si evidenzia che lo svantaggio socioeconomico pesa sulla salute in modo comparabile a quei fattori di rischio da sempre additati come Big killer, come appunto obesità e fumo.
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Eppure poco o nulla fanno le istituzioni per debellare lo svantaggio sociale che è padre sia di cattivi comportamenti, sia di mancanza di strumenti (economici e culturali) di prevenzione e cura delle malattie, denunciano gli autori del lavoro svolto nell’ambito del progetto Lifepath finanziato dalla commissione europea. Lifepath per la prima volta ha messo a confronto il fardello su salute e aspettativa di vita delle popolazioni dovuto a condizioni sociali svantaggiate con quello di stili di vita e comportamenti scorretti. Inoltre, Lifepath, spiega il coordinatore Paolo Vineis dell’Imperial College Londra, consentirà di scoprire attraverso quali meccanismi biologici (ad esempio malfunzionamenti del sistema immunitario) uno status socioeconomico basso logora la salute. Lo studio si è basato sull’analisi di dati relativi a a 48 gruppi di individui di Gran Bretagna, Italia, Portogallo, Stati Uniti, Australia, Svizzera e Francia, per un totale di più di 1,7 milioni di partecipanti, il cui livello socioeconomico è stato misurato con scale ad hoc. La salute del campione è stata monitorata per parecchi anni e si è potuto stimare il numero di anni mediamente persi per cattive condizioni socioeconomiche.
“Abbiamo scoperto che vivere in condizioni sociali ed economiche svantaggiate può costare caro quanto altri potenti fattori di rischio come fumo, obesità e ipertensione”, afferma la coordinatrice dello studio Silvia Stringhini del Policlinico Universitario di Losanna. Politiche mirate al miglioramento delle condizioni socioeconomiche degli individui, spiega, potrebbero salvare molte vite. Quindi, intervenire su fattori “a monte”, come il lavoro o l’istruzione, può avere una maggiore efficacia in termini di miglioramento della salute, rispetto a interventi “a valle”, focalizzati su singoli fattori di rischio come l’assistenza a chi vuol smettere di fumare o raccomandazioni e campagne per la sana alimentazione. Questi ultimi restano importanti, ma tendono a favorire nuovamente le fasce sociali più alte, che possono accedervi più facilmente e che hanno meno difficoltà nel correggere eventuali abitudini poco salutari. (Fonte)
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