Un Ritorno alle origini perché ogni nostro gesto, anche il più banale, legato al cibo non è più spontaneo. Forse bisognerebbe ripartire da zero, dall’importanza che ricopre il vuoto, che non è il nulla, ma uno spazio dove tutto può rinascere, un luogo pieno di possibilità!
Libri su libri, esperienze su esperienze e ancora conferenze, corsi, confronti, attenzione particolare durante gli incontri, e la domanda rimane sempre la stessa: ma perché nonostante tutte le informazioni che ci arrivano con dettaglio e precisione scientifica (ma anche molto contrastanti), sembra esserci una regressione della cultura, della comprensione, della coscienza, della conoscenza sull’alimentazione?
Lo stile di vita è molto cambiato, e muta continuamente a una velocità vertiginosa, basta rapportare cos’era l’alimentazione solo quindici anni fa e cos’è oggi, figuriamoci a paragonarla in un tempo più lontano.
I guru della macrobiotica affermano che con l’alimentazione si risolvono tutti i problemi (questo è il messaggio che mi è arrivato da subito); non sono del tutto d’accordo. Questi stessi guru, e parlo dei grandi guru, avevano, per cultura, anche altri strumenti che facevano parte del loro quotidiano come il qi gong o il taichi, la meditazione, la respirazione, la contemplazione. Strumenti che nel nostro quotidiano non ci sono (parlando in senso generale).
E così, come cita la canzone di Francesco Gabbani, ci facciamo un’ora di Nirvana, pensiamo di poter raggiungere livelli di conoscenza e consapevolezza lontani dalla nostra cultura e dal nostro tempo; nello stesso modo, frequentiamo un corso di cucina, e, senza avere acquisito nessuna esperienza, pensiamo di poter curare le persone. L’umiltà ci sfugge spesso di mano, e così, diventando dei punti di riferimento, perdiamo il centro, e l’arroganza la fa da padrone.
I social traboccano d’informazioni sui danni del cibo (e sul cibo in generale), così come i giornali e le trasmissioni dedicate, mentre, oggi più che mai, bisognerebbe fermarsi e ripartire da zero, dall’importanza che ricopre il vuoto, che non è il nulla, ma uno spazio dove tutto può rinascere, ovvero un luogo pieno di possibilità.
Tutti noi dovremmo fare delle riflessioni e porci delle domande:
La meditazione e la lettura dei vecchi testi aiutano molto. Il mio ex maestro di tuina, Tino Z. Wong, mi diceva che il nutrimento non è solo cibo. Lui teneva sul suo comodino il libro di Lao Tze “Il Dao” e ogni sera ne leggeva qualche pagina prima di addormentarsi, e quando lo aveva finito ricominciava da capo. Ma quello che più insegnava era che ciò che stavamo imparando doveva essere vissuto, ogni giorno, e diventare la nostra quotidianità.
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Il Dao è la strada, il cammino che ognuno di noi deve tracciare:
È ritrovare l’ordine per il governo di se stessi, della famiglia, del Paese, è comunicare, esprimere, è diventare consapevole, è benevolenza, è giustizia. Il Dao è magia. E’ il giusto cammino che ogni individuo dovrebbe percorrere occupando il posto che gli compete ottemperando ai propri doveri.
Siamo invece diventati dei consumatori senza sosta, e dobbiamo continuare a consumare perché il nostro stile di vita ci ha resi schiavi. Per poter vendere di più gli scienziati, pagati dall’industria alimentare, ci analizzano con tecniche speciali (Fonte), così che possano entrare nel nostro inconscio e rubare informazioni necessarie allo studio dei nostri gusti e attuare così un marketing spregevole, purché continui nel suo compito di farci consumare senza sosta radicando questa schiavitù.
L’essere umano è sempre stato attratto da un’evoluzione improntata verso una vita facile e che ci permetta di avere tutto e subito. L’alimentazione è però una cosa seria, e non è un fatto fine a se stesso. Ogni volta che mangiamo assorbiamo il nostro ambiente (sole, luna, acqua, pianeti ecc): tutto ciò che appartiene all’Universo, diventando parte di esso.
Ciò che è tipico del nostro mondo e dal quale siamo particolarmente attratti, è la ricerca dell’intensità del sapore, la bellezza di ciò che appare nel piatto. Ma tutto questo è solo apparenza. Chi insegna l’arte della cucina, per primo, deve sapere che l’obiettivo è arrivare ad apprezzare l’insipido, ovvero le cose semplici, genuine, pure: l’essenziale.
Termino con queste righe del libro “Elogio dell’Insapore” (François Jullien, Raffaello Cortina Editore) e spero che possano arrivare nel cuore di chi le legge, affinché si possa ripartire da un vuoto che possa dare alle persone ciò che serve. Niente di più! Iniziamo a percorrere una strada rivolta verso l’unione del tutto, smettendo di disgregare ogni cosa, noi stessi compresi:
“Ogni sapore è illusorio e seducente al contempo, induce soltanto il passante a fermarsi, lo alletta senza soddisfarlo. Rappresenta soltanto un’eccitazione immediata e momentanea che … si esaurisce appena consumata: in opposizione a queste stimolazioni superficiali, eccoci invitati a risalire alla sorgente inesauribile ….
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Quando nessun sapore è accentuato, il valore di saporazione è tanto più intenso da non poter essere assegnato, oltrepassa la propria contingenza, si apre alla trasformazione: il saggio ‘assapora il non sapore’ così come ‘agisce senza agire’ e si affaccenda a ciò che e senza faccenda.
Poiché la saggezza sta nel percepire che questi opposti, ben lungi dall’essere bloccati definitivamente in una individualità esclusiva, non cessano di condizionarsi l’un l’altro e di comunicare tra loro”.
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