Secondo alcune ricerche esiste un aspetto molto insidioso di un consumo abbondante e prolungato di prodotti di soia: i fitoestrogeni contenuti possono modificare e inibire il normale sviluppo sessuale e causare in età adulta problemi di riproduzione e fertilità. Alla luce di quanto emerso, possiamo dare con sicurezza la soia ai nostri bambini?
Secondo uno studio del 2016 l’esposizione ai fitoestrogeni della soia durante l’infanzia può compromettere lo sviluppo del sistema riproduttivo, causando nelle donne adulte un’alterazione del flusso mestruale. Analizzando le cellule dell’epitelio vaginale di bambine alimentate con la soia, è emersa un’alterazione del DNA, confermando che l’esposizione nei primi anni di vita ai suoi composti estrogenici influisce sullo sviluppo del sistema riproduttivo, sia nei modelli animali studiati che nell’uomo.
Già nel 2000 il governo britannico ha avvertito i genitori sui possibili effetti negativi del latte di soia sui bambini, proprio a causa dell’effetto dei fitoestrogeni sullo sviluppo sessuale e la riproduzione, ma anche sullo sviluppo neuro comportamentale, sulla funzione immunitaria e della tiroide.
Paragonando il contenuto di isoflavoni dei prodotti a base di soia con quello presente nel latte umano o nelle migliori formule per infanti a base di latte di vacca, troviamo che in quest’ultime i livelli di isoflavoni si attestano intorno a uno 0,005-0,01 mg al giorno, contro i 22-47 mg di fitoestrogeni contenuti nella soia: una differenza notevole, soprattutto se si pensa al latte, un alimento che ai bambini viene dato tutti i giorni, anche più volte al giorno. È stato dimostrato che i bambini alimentati con soia hanno più estrogeni (dalle 13.000 alle 22.000 volte) rispetto ai bambini alimentati con latte vaccino, con un effetto analogo all’assunzione della pillola anticoncezionale.
Secondo un rapporto svizzero, 100 mg di isoflavoni in una donna adulta forniscono l’equivalente estrogenico di un contraccettivo: calcolando la quantità media assunta da un bambino in base ai formulati di soia, viene fornito l’equivalente estrogenico di almeno 5 pillole anticoncezionali.
Nei neonati alimentati con latte artificiale a base di soia è stata trovata nelle urine una concentrazione di isoflavoni 500 volte superiore rispetto ai neonati alimentati con latte di vacca. Circa il 30% dei bambini negli Stati Uniti sono esposti a queste dosi massicce di isoflavoni e anche in Italia la somministrazione di latte di soia ai bambini si sta consolidando, soprattutto nel caso di intolleranza al lattosio o per scelte dei genitori legate a varie motivazioni, comprese quelle etiche e ideologiche.
Nonostante i livelli di fitoestrogeni molto alti e i problemi di fertilità evidenziati negli animali alimentati con soia, il latte artificiale di soia continua a essere visto come un’opzione valida per l’alimentazione dei neonati, qualora l’allattamento al seno non sia possibile o se esistano allergie al latte artificiale vaccino. Ciò a causa della mancanza di evidenti effetti clinici avversi e di correlazioni significative tra le concentrazioni di isoflavoni e i livelli di alcuni ormoni.
Che i fitoestrogeni nei formulati di soia siano biologicamente attivi nei neonati è comunque una questione aperta. Anche se l’attuale evidenza scientifica non è sufficiente a dimostrare che l’esposizione a questi composti sia tossica, non si può dire con certezza nemmeno il contrario: per molti ricercatori però l’attesa di ulteriori studi sugli uomini per conseguire prove certe sarà pagata a caro prezzo.
Il dibattito è in corso e il buon senso è l’unica arma di cui al momento possiamo disporre. Come ha detto Claude Hughes, direttore del Women’s Health Center al Cedars-Sinai medical Center di Los Angeles, «la mia opinione professionale è che ha più senso non esporre inutilmente il neonato a questi preparati. Mentre l’allattamento al seno è di gran lunga preferibile, le madri che non allattano al seno dovrebbero utilizzare preparati a base di latte e considerare quelli a base di soia come ultima risorsa».
Estratto dal libro “La soia: fa bene o fa male?”, Edizioni L’Età dell’Acquario
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